Salute

L’esperto. Cristiano Castelfranchi. L’inclusione incompiuta

"Si ferma nella rete definita dei servizi, non si apre alla società reale. Anche il terzo settore è schiacciato da una concezione sanitaria dell’intervento".

di Redazione

“In Italia non c?è una visione terapeutica dell?intervento. Tutto è legato al sapere dei medici e i percorsi di inserimento sono ancora impostati sui servizi e non sulla soggettività”. Non fa sconti Cristiano Castelfranchi, il direttore dell?Icst – Institute of cognitive sciences and technologies di Roma nel valutare lo stato del trattamento della malattia mentale in Italia. Anzi, rilancia: «Non era questa l?idea di inclusione pensata quando si ragionava sulla chiusura dei manicomi e su una nuova territorialità».
SocialJob: Professore, nonostante le sue critiche, l?Italia in questi anni ha fatto passi avanti nella cura delle patologie mentali.
Cristiano Castelfranchi: Non nego che nel nostro Paese si siano raggiunti dei risultati notevoli dalla chiusura dei manicomi. Oggi siamo arrivati al punto che l?individuo riesce a svolgere attività lavorative, si ricostruisce un?identità e può arrivare a gestire la propria vita. Purtroppo, però, i percorsi di inserimento non creano reale autonomia: l?inclusione si ferma nella rete definita dei servizi, non si apre alla società reale. Anche il terzo settore e la cooperazione sociale vengono schiacciati da una concezione sanitaria dell?intervento per cui è più facile contenere la crisi che gestirla all?interno dei normali contesti relazionali.
SJ: Quali sono allora le prospettive per il futuro?
Castelfranchi: Come dice lo stesso Piano, l?obiettivo è quello di proiettare l?individuo all?esterno dei servizi. La personalizzazione del percorso di cui tanto si parla non serve a nulla se non si lavora per tappe, se non si distinguono i periodi in cui è meglio seguire l?individuo da quelli nei quali è più giusto lasciarlo vivere la propria condizione in totale autonomia. Per far questo c?è bisogno di sforzi e risorse, ma soprattutto di un salutare conflitto tra i vari attori impegnati. Perché il problema non è capire quali siano i servizi adeguati, ma che tipo di esistenza può vivere quella persona.

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